Sunday, November 16, 2008

Nel Labirinto

"Oh, re del tempo e sostanza e cifra del secolo!
In Babilonia mi volesti perdere
in un labirinto di bronzo con molte scale, porte e muri;
ora l'Onnipotente ha voluto ch'io ti mostrassi il mio
dove non ci sono scale da salire, ne' porte da forzare,
ne' faticosi corridoi da percorrere, ne' muri che ti vietano il passo."
J.L. Borges, I due re e i due labirinti


Nel labirinto l'altro è detenuto dalle nostre parole, l 'altro è un mostro, un alieno. Un altro, se menetre noi siamo lui non è - non gli riconosciamo la libertà di essere, quella stessa libertà da cui lo teniamo in cattività, prevedendolo attraverso le parole che lo condannano alla paura o alla brama che ne abbiamo. E' altro, ossia si trova in un altro tempo: è (già) una minaccia; sarà quanto abbiamo desiderato. In ogni caso, il tempo dell'altro viene dettato dalle nostre parole. L'altro è in nostra funzione un ostacolo o un mezzo. Nient'altro. E' altro, è rumore di fondo. Uno sfondo per le nostre parole.

Il labirinto è un cammino che conduce al silenzio. Un silenzio che ha a che vedere con la sincerità - talmente presente, talmente nuda che nessuna parola, interesse o umiliazione, egoismo, neanche i nostri, possono aggiungere qualcosa. E nulla può aggiungersi davvero a una presenza, a qualcosa che si mostra. Qualcosa che affronta le nostre parole, e fa ammutolire. Un volto nudo che pietrifica, come quello di un dio.

Il labirinto è un tempio. Chi vi entra osserva che l'unico essere a non pregare è proprio il dio. Questo perché nel tempio il dio è l'unico ateo: non ricerca un fuori. E' in ogni luogo come è, è lì dove viene visto. Non parla: cosa dovrebbe aggiungere alla propria presenza?

Il labirinto, per un uomo come per un dio, è il luogo dove diventare fedele. Dove credere non a una parola, ma a una presenza. Le parole dicono, Sii te stesso. La presenza si spoglia delle parole, Non sei questo, Non sei questo.

Il labirinto è il luogo della manifestazione, dove l' uomo affronta l'altro, gli si presenta fuori da se stesso. Uscendo dal tempo delle parole. Rivelando la durata di ciò che compie.

La parola aspira a essere, a restare. Il labirinto non è un luogo in cui rimanere, è il luogo in cui diventare eterni. Non è essenziale che questo luogo sia un labirinto o ne abbia il nome. E' necessario solo che questo luogo esista.

Un labirinto contiene le parole da cui diventiamo liberi. L'insieme di queste parole sono pagine, fogli con un'unica soluzione: il silenzio. Le parole di cui ci spogliamo scrivono il libro che non descrive: una conquista, una violenza, una fondazione, ma ammette il proprio limite: noi. Davanti a noi, quando finalmente ci riveliamo esercitando la nostra presenza, le parole tacciono, e stanno a guardare.

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